Giocando con l’assonanza tra parachute (paracadute) e parashoot (shoot, scatto), conia un neologismo per definire il suo lavoro che racconta di un percorso intimo iniziato nel luglio 2016, condotto in forma di diario giornaliero e che utilizza l’immagine al posto della parola.
Un evento traumatico e doloroso può trasformarsi in un viaggio di guarigione e bellezza, arrivando a scoprire nuove sfumature di sé e a conquistare nuove certezze. La fotografia, dunque, come paracadute, come ancora di salvezza. Così è stato per Lorenzo Ceva Valla che, senza un iniziale obiettivo preciso, ha cominciato a fotografare – unicamente con l’iPhone – il terreno urbano milanese.
Scampoli di strada che prima lo attraggono dal punto di vista estetico, nelle loro imperfezioni, nei dettagli e soprattutto nel colore, poi, in alcuni casi nello stesso istante dello scatto e in altri a distanza di giorni, rivelano la loro carica emotiva e un significato sempre personale e mai scontato. Ogni scatto porta con sé un titolo preciso, scelto, meditato e quindi fortemente legato all’immagine, formando così un’opera d’arte unica. Giocati sulla riflessione, sull’ironia, e l’autoironia, i titoli raccontano la storia quotidiana di Ceva Valla, dove ognuno di noi può rispecchiarsi con semplicità e immediatezza.
Usare l’iPhone rappresenta l’emancipazione dalle scelte tecniche che la Reflex impone. Ha reso il processo d’inquadratura e scatto più istintivo, immediato. La ricerca di colori forti, incisivi, lo hanno spinto a trovare la bellezza e il senso in ciò che sembra brutto e insignificante. Marciapiedi, rotaie del tram, segnaletica stradale, tombini, resti vari di oggetti e umanità, raccontano un’esistenza di rinascita giornaliera, anche attraverso la ricerca di un valore estetico inaspettato.
La post produzione fa poi il resto e per Lorenzo Ceva Valla è una forma espressiva fondamentale. L’inquadratura non viene quasi mai ritoccata, ma sono i colori e le texture a essere esaltati al massimo, in un vero e proprio processo curativo di “cromoterapia”, come lui stesso lo definisce. I colori che affiorano dalla post produzione sono già nell’occhio del fotografo al momento dello scatto, da qui la necessità di farli emergere per esprimere la sua visione fisica e mentale e quindi artistica.
Ed è così che ogni foto e il suo titolo compongono il diario intimo del fotografo, una teoria d’immagini che, come pagine scritte, possono essere lette, sfogliate, criticate, ammirate o solo vissute.
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